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Riforma Cartabia: affossata la legge Severino. Chi patteggia potrà candidarsi alle elezioni

ROMA – Il ministero dell’interno ha inviato ai prefetti, in vista delle prossime elezioni, una circolare che, su indicazione dell’Avvocatura dello Stato, toglie di mezzo gli effetti della legge Severino sull’incandidabilità, aklmeno per chi, perseguito dalla magistratura, ha patteggiato. Non si tratta, sottolineiamolo, né di un’iniziativa del ministro Piantedosi né del ministro Salvini, ad anticipare le critiche che verranno dalle sinistre, ma di una conseguenza giuridica delle disposizioni di una legge approvata dal governo Draghi, presunto salvatore della Patria, al pari di Monti.

L’interpretazione era stata richiesta al fine di applicare correttamente una norma prevista dalla riforma voluta da Marta Cartabia, alla luce di alcune pronunce della Cassazione e della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Il responso: i politici che abbiano patteggiato una pena, anche per reati come peculato, corruzione propria e in atti giudiziari o frodi al fisco, a differenza di quanto accaduto finora, potranno tornare a candidarsi per le cariche di sindaco, parlamentare o consigliere regionale.

La legge Severino, dal nome dell’ex ministra della Giustizia del governo Monti, Paola Severino, era stata varata nel 2012. La norma prevede che chi abbia ricevuto una condanna superiore ai due anni per reati contro la pubblica amministrazione non possa più correre per le cariche pubbliche. O, se è già stato eletto, decada. Come accaduto nel 2013 a Silvio Berlusconi, che dovette lasciare il Senato per una condanna a quattro anni divenuta definitiva (finché nel 2020 il Cavaliere non fu «riabilitato» dal Tribunale, ed è potuto tornare a candidarsi lo scorso settembre). A conferma delle leggi specifiche approvate dalle sinistre per eliminare gli avversari politici per via giudiziaria.

Alle stesse conseguenze si andava incontro con il patteggiamento. Almeno finora. Perché la riforma Cartabia, che tra i suoi obiettivi aveva quello di snellire l’ingolfata macchina della giustizia, per diminuire il numero dei processi ha puntato a favorire i riti alternativi. Come, appunto, il patteggiamento. In particolare, la riforma ha stabilito che «se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444 comma 2 del codice di procedura penale (cioè il patteggiamento stesso, ndr) alla sentenza di condanna».

L’ Avvocatura generale dello Stato ha deciso che la legge sull’incandidabilità sarebbe andata incontro in questa parte a un’ «abrogazione tacita». Di fatto, quindi, non si può più applicare ai patteggiamenti. Nel parere si citano la Cedu e la Cassazione, che «ha escluso la natura penale delle misure della legge Severino escludendone lo scopo punitivo». Quella stessa Cassazione che in precedenza aveva condannato Silvio Berlusconi, causandone l’esclusione dal Senato. Dunque, concludono gli avvocati dello Stato, «ne consegue che tutti i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento, non incorrono più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle prossime elezioni amministrative».

Il parere è stato acquisito, e riportato in una circolare del dipartimento per gli Affari interni e territoriali del Viminale. Dunque, d’ora in poi, chi ha patteggiato senza ricevere una pena accessoria (come l’esclusione dai pubblici uffici), potrà candidarsi.

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