Rinnovare le Istituzioni

Riforma pensioni: la vara il governo Meloni. Resta in parte la legge Fornero, deluso Salvini

ROMA – La riforma varata dal governo con la legge di bilancio cambia il regime delle pensioni, come richiesto più volte dai sindacati. Una risposta data dal governo di destracentro, mentre i governi Conte2 e soprattutto Draghi (quello che secondo le sinistre e Mattarella avrebbe dovuto salvare l’Italia, un bis di Monti) non si erano preoccupati minimamente di realizzare la riforma chiesta dall’Europa, troppo comlicata e politicamente sensibile.
Come spiega il Sole24Ore, il nuovo regime prevede l’uscita anticipata per tutti, o quasi, a 63 anni. Con anzianità contributiva variabile a seconda delle “tipologie”: 36 anni per gli uomini disoccupati, impegnati in attività «gravose», caregiver o invalidi; 35 anni per le donne; 41 anni per la maggioranza dei lavoratori. È l’effetto prodotto dal nuovo strumento unico di flessibilità in uscita, con apposito fondo, con cui dal 2024 assorbirà Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 trasformata in Quota 104, che fa parte del capitolo previdenza della manovra varata lunedì dal governo. La soglia anagrafica minima di pensionamento sale dunque praticamente a tutto campo a 63, visto che non si potrà più uscire a 62 come previsto con Quota 103. E che neppure le poche categorie di lavoratrici alle quali era consentito l’accesso a Opzione donna nella versione 2023 potranno più optare per l’uscita a 60 anni (59 con un figlio e 58 anni in presenza di più figli), a meno di ripensamenti “fuori tempo massimo” dell’esecutivo.
Questo nuovo meccanismo dovrebbe essere accompagnato, almeno per quel che riguarda Quota 104, da un sistema di «premialità» per chi deciderà di rimanere al lavoro, sulla falsariga del riadattamento del bonus Maroni deciso con la scorsa legge di Bilancio con cui viene di fatto lasciata nella busta paga del lavoratore la trattenuta contributiva del 9,19%. Ma stando a quanto ha lasciato intendere il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (video) , dovrebbero essere previste anche «penalizzazioni» per chi intenderà uscire con un leggero anticipo, probabilmente sotto forma di un «tetto» alla misura massima della pensione erogabile fino al raggiungimento del requisito di vecchiaia. Accorgimenti e limature potranno comunque essere apportate dall’esecutivo fino al momento in cui non si arriverà al testo finale della manovra da inviare in Parlamento.
Nonostante i proclami di Salvini la legge Fornero non viene completamente abrogata, ma resterà vigente per la parte che consente il pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne), a prescindere dall’età anagrafica. E anche per i cosiddetti lavoratori «precoci», quelli con 12 mesi di contribuzione effettiva prima del compimento dei 19 anni, resta possibile l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi. Nessuna novità neppure per i requisiti fissati sempre dalla legge Fornero per il pensionamento di vecchiaia: sempre 67 anni d’età e 20 di contribuzione.
Il pensionamento di vecchiaia diventa adesso più facilmente accessibile ai lavoratori interamente «contributivi» (quelli privi di contribuzione fino al 31 dicembre 1995). Dal prossimo anno scomparirà il requisito relativo all’importo minimo della pensione maturata (cosiddetto «importo soglia»), pari a 1,5 volte l’assegno sociale (nel 2023 745,91 euro) per il diritto all’uscita all’età di 67 anni. Dovrebbe invece rimanere il vincolo di 2,8 volte l’assegno sociale per i lavoratori «contributivi» che decidono di utilizzare la via d’uscita alla soglia dei 64 anni.

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